Mi chiamo Mauro e sono membro di APG23 dal 1991.

Mi occupo di carcere praticamente da sempre. Insieme a mia moglie Norina nel 1993 ho aperto una casa famiglia in Toscana, accogliendo principalmente condannati a pene alternative al carcere.

Da novembre 2014 sono in Camerun per rispondere alla richiesta di aiuto di Maria Negretto, la missionaria, in loco da quarant’anni, che aveva bisogno di supporto per gestire il suo progetto di accoglienza e reinserimento dei detenuti, prevalentemente minorenni.

Quando mia moglie ed io abbiamo visitato per la prima volta le carceri locali abbiamo visto l’inferno in terra e abbiamo capito che voltarci dall’altra parte era impossibile.

Sono partito solo, Norina è rimasta in Toscana per seguire la casa famiglia, ma è come se fossimo sempre insieme perché ogni giorno ci raccontiamo questa nostra esperienza, esigente e faticosa ma allo stesso tempo straordinaria e gratificante.

Dopo un primo periodo di disorientamento per la lingua, la cultura, il cambiamento rivoluzionario di vita che ho dovuto fare, ora ho le idee molto più chiare.

Il lavoro in carcere è una sfida difficile. Insieme ai volontari italiani e camerunensi che mi affiancano stiamo vicino ai detenuti, ascoltando le loro sofferenze, la solitudine, la tristezza per l’abbandono da parte della famiglia.

Stiamo accompagnando in un percorso personale di recupero e riabilitazione gli ex detenuti nelle due comunità educative che gestiamo a Bafoussam e Soukpen.

F., il primo ragazzino accolto, è ormai diventato il pilastro di casa. Rimasto orfano da piccolo, ha conosciuto solo la vita di strada e poi quella del carcere. Disabile mentale per una meningite cerebrale contratta a tre anni, è stato usato da una banda di rapinatori per un furto. Quando è arrivata la polizia, gli altri sono scappati e lui è stato arrestato. Ha trascorso in carcere più di due anni, mentre i volontari cercavano di far capire ai giudici che il suo ritardo mentale lo rendeva di fatto innocente. Il suo animo è bello ed io sono felice di averlo incontrato.

La sua storia, come quella degli altri uomini feriti dalla vita che sto conoscendo, mi sprona continuamente ad agire per segnare il solco di un nuovo cammino nelle carceri di questo Camerun, segnato da tanta sofferenza e povertà.

Mauro