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Nel centro comunitario “Frederik Prenga” a Tirana, le persone affette da disabilità mentali condividono le loro storie e paure, così come la battaglia quotidiana per essere accolte e integrate nella società.

Divisi in due tavoli nel cortile dove è servito il caffè del mattino, i residenti del centro “Frederik Prenga” a Tirana aspettano in un modo diverso l’inizio delle attività quotidiane: alcuni sorridenti, altri accovacciati dietro le sigarette che tengono nelle mani.

Nela *, una minuta donna di 45 anni, indossa un maglione grigio, di diverse taglie in più, e porta un cappuccio di lana. Sulle dita ingiallite del tabacco si notano due grandi anelli di argento, uno dei quali ha una testa di leone.

“Mi piace molto il leone... è un animale molto bello e fiero”, ha detto Nela sorridendo, mentre i suoi occhi brillano attraverso gli occhiali che le coprono metà del viso.

“Conosci il mio amico Pëllumb”, prosegue lei, sconnessa dalla discussione di gruppo che si stava svolgendo.

Nela è stata diagnosticato un disturbo dell’umore con ritardo mentale da lieve a moderato. Lei vive con i genitori, e da quasi un anno frequenta i programmi di riabilitazione del centro “Frederik Prenga” a Tirana.

Nela ama la poesia, la fotografia e la pittura. A BIRN ha riferito che spesso provava ansia, uno stato che la perseguita sin dalla nascita e che non la lascia in pace per anni. Ma ultimamente dice di sentirsi meglio.

“Ultimamente mi sento meglio. Una volta volevo diventare una suora. Madre Teresa mi ha tracciato il segno della croce sulla mia testa”, disse, togliendosi il cappuccio e mostrando la testa tosata.

Il Centro “Frederik Prenga”, parte della “Comunità Papa Giovanni XXIII”, è un centro diurno comunitario a Tirana, che da gennaio 2020 opera per la riabilitazione di persone come Nela, che soffrono di malattie mentali.

Lo staff del centro è composto da specialisti nel campo della psicoterapia e opera nell’ambito del progetto “Si può fare”, finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo”.

Loro offrono non solo supporto psicologico, ma anche terapia occupazionale ai beneficiari con disturbi psicologici, per formarli nelle abilità pratiche che possono servire per una graduale integrazione nella società.

Il Direttore del centro, Marcello Requirez, ha detto a BIRN che le persone con disabilità mentali in Albania affrontano una serie di problemi e sono discriminate dalla società. Dapprima si presentano presso il centro per un piatto caldo; ma nel tempo si è visto che loro avevano bisogno molto di più per un trattamento psicologico, ha sottolineato Marcello.

“Abbiamo dovuto fare un lavoro colossale con queste persone, a cominciare dall’igiene personale per passare poi al modo del comportamento”, ha affermato Requirez.

“Un’altra cosa che cerchiamo di insegnare loro durante le attività è trattarli come esseri umani, perché molti di loro sentono la discriminazione addosso”, ha aggiunto.

 

Una catena di problemi

In gruppi strutturati di 15-20 persone, i beneficiari del centro “Frederik Prenga” iniziano la giornata con diverse attività come teatro, arte visiva, panificazione e palestra, attività che li aiutano ad esprimere il mondo interiore, a comportarsi o condividere la giornata con qualcuno.

Coloro che frequentano il centro provengono da problematiche e storie diverse.

Alcuni di loro sono istruiti, mentre altri hanno difficoltà a leggere e scrivere. In parte hanno una casa e una famiglia, mentre altri sono senza tetto o soli.

Bledi, un uomo sulla quarantina, in jeans e maglione sportivo lucido, è stato diagnosticato un disturbo schizoaffettivo. I suoi episodi iniziarono nel 2000, quando lui aveva appena 14 anni e sua madre si è suicidata.

Bledi frequenta il centro quasi quotidianamente e fa ironia con la sua malattia.

“Sono qui da un anno. Vengo quasi tutti i giorni, ma ci sono giorni in cui non vengo... Nei giorni in cui cantano 100 colombelle nella mia testa... non vengo”, ha detto lui.

Bledi afferma che gli è difficile trovare la pace, ma spera di trovare un lavoro e una sicurezza economica per aiutare la sua famiglia.

“So che dovrei venire qui per levare di testa le colombelle”, scherza Bledi. “Ma lo trovo difficile. È diventato tutto difficile, alzarsi la mattina, uscire al freddo ed essere pressato sull’autobus come sardine, andare a lavorare per uno stipendio ridicolo”, ha aggiunto tristemente.

A differenza di Bledi, un altro frequentatore del centro si avvicina con le sue borse a spalla, piene di vestiti sporchi.

“Vengo come soldato in guerra”, scherza Beni mentre scarica le sue borse a terra e prepara i suoi vestiti per il bucato.

Quindi si precipita a raggiungere la prima attività del mattino.

Irene Scinto, coordinatrice del progetto “Si può fare” presso il centro “Frederik Prenga” ha affermato che i casi sono riferiti principalmente dalle organizzazioni partner o dal Centro Comunitario di Salute Mentale n.3.

Oltre al cibo, i beneficiari trovano in questo luogo compagnia, un gruppo che non li pregiudica e una serie di attività che aiutano nella loro abilitazione.

Laureta Selimi, una terapista occupazionale, ha espresso a BIRN che i beneficiari del centro hanno fatto progressi lenti ma molto efficaci.

Un esempio di successo è Lulja*, una donna di 52 anni abbandonata dal marito e dai figli e che viveva in condizioni economiche difficili.

“Entravo ed uscivo dal 5 [ospedale psichiatrico]. Vivevo nel sotterraneo con topi e lucertole. Non riuscivo fare il bagno, facevo bagno su una sedia”, ha detto.

Grazie al volere di Lule a alla sua collaborazione con il personale psicosociale del centro, attualmente lei conduce una vita quasi tranquilla, dove trascorre la maggior parte del tempo con gli amici al “Frederik Prenga”, mentre nella casa che lo staff è riuscito a sistemarle, dedica del tempo ai suoi fiori.

 

Stigma nella società e nella famiglia

Per le persone con disabilità mentali, l’autonomia finanziaria è uno stimolo importante per la loro integrazione nella società. La psicologa Xhesika Mone afferma che ciò consente a loro di condurre una vita indipendente e di superare lo stigma nella società.

Tuttavia, lo stigma nei confronti delle persone che soffrono di problemi di salute mentale continua ad essere considerevole sia in famiglia che nella società.

Il Direttore del centro, Marcello Requirez, racconta come anche loro hanno incontrato problemi quando hanno cercato di organizzare escursioni di 2-3 giorni con i beneficiari del centro per trascorrere un fine settimana fuori Tirana.

“Abbiamo prenotato l’hotel, ma quando ci siamo avvicinati e il proprietario ha visto quali problemi avevano i nostri beneficiari, si sono rifiutati di offrirci i servizi”, afferma Requirez.

Naum Xoxi, terapista occupazionale che si occupa di formazione per la panificazione, ha riferito che i residenti di questo centro hanno difficoltà a trovare un lavoro nelle panetterie.

“I proprietari delle panetterie temono di assumerli”, ha riferito Naumi. “Naturalmente è noto che molti di questi individui non diventeranno mai indipendenti al 100%, ma possono imparare le cose basilari, come pulire l’ambiente, fare l’impasto, cuocere il pane e imballare”, ha aggiunto. 

D’altra parte, anche chi riesce a trovare un lavoro vive con il timore di perdere KEMP – l’assistenza sociale per le persone con disabilità.

“Le persone che vengono assunte perdono KEMP e vivono nel timore che se perdono anche il lavoro, rimarranno in balia della sorte”, ha aggiunto Naumi. In questo caso, dovranno presentare nuovamente domanda per lo stato di invalidità.

Al di là della società e del mercato del lavoro, lo stigma è spesso nascosto all’interno delle famiglie delle persone con disabilità mentali.

Il terapeuta del centro “Frederik Prenga” mostra che dagli incontri settimanali che lo staff conduce con le famiglie dei beneficiari, si nota che i loro stessi parenti hanno perso la speranza di un’integrazione di queste persone nella vita sociale.

“Qualche tempo fa avevamo qui un ragazzo, che proveniva da una famiglia benestante. Dopo che il suo sogno di diventare un calciatore è andato in frantumi, ha subito un collasso emotivo; non riusciva nemmeno ad alzarsi dal letto”, racconta Naumi.

Secondo quando riferisce lui, il ragazzo aveva ottenuto miglioramenti durante i mesi in cui ha frequentato il centro, ma sono stati i suoi familiari a interrompere il processo.

“I membri della famiglia gli hanno fatto interrompere il processo di ricupero. I famigliari dicevano che gli altri membri del centro non erano al livello del loro figlio, quindi lo hanno scoraggiato dal venire e stare in loro compagnia”, ha aggiunto il terapeuta.

Bledi, che vive solo con il KEMP di 9 mila lekë [intorno ai 75 euro] al mese aspetta l’inizio di un corso professionale. Tuttavia, è consapevole delle difficoltà.

“Trovo molto difficile rompere il guscio questa volta”, afferma Bledi, accennando i pagamenti ridicoli che danno.

Tuttavia, la consulenza con gli psicologi lo ha aiutato a vedere la vita con un raggio di positività, anche se ogni tanto attraversa episodi che gli suggeriscono di suicidarsi, ha aggiunto.

“Questo ti si trasforma in un quadro, in cui il mondo intorno a te è normale e tu ne sei fuori”, ha concluso.

I nomi delle persone che frequentano il centro “Frederik Prenga” sono stati modificati per mantenere la loro privacy.

 

Articolo originale di Nensi Bogdani su Reporter.al 

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